Acquisto di beni falsi via Internet e importazione: la Corte d’Appello di Milano fa chiarezza

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Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano (C. App. Milano, IV Sez. Penale, 08.05.2017-28.06.2017, n. 3130), giunta in esito ad alcune decisioni contrastanti, fissa alcuni principi in materia di contraffazione.

 

Il caso, alquanto frequente, riguardava un soggetto che aveva acquistato su Internet due orologi contraffatti, mai pervenutigli perché sequestrati dalla Dogana al momento dell’arrivo in Italia del plico postale.

 

L’imputato, condannato in primo grado per introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi (art. 474 comma 1 c.p.), ha presentato appello invocando la depenalizzazione della condotta, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 22225/12; in subordine, ha chiesto l’assoluzione per irrilevanza penale del fatto, ex art. 131 bis c.p.

 

Su entrambi questi temi, in effetti, in tempi recenti erano state registrate oscillazioni nella giurisprudenza distrettuale milanese.

 

La Corte d’Appello, tuttavia, ha disatteso entrambe le richieste dell’imputato e ha confermato la condanna inflittagli dal Tribunale.

 

Sul primo punto, la motivazione richiama la recente sentenza della Cassazione, V Sezione Penale, n. 6354/16 che, in un caso identico, aveva rigettato analoga censura evidenziando come le Sezioni Unite del 2012 si fossero occupate della depenalizzazione dell’acquisto fatto da un acquirente finale, già punito dall’art. 648 c.p., e non dell’importazione di beni con segni falsi, che costituisce condotta diversa e concorrente, sanzionata dall’art. 474 co. 1 c.p. Secondo la Corte territoriale milanese, “la condotta compiuta dall’imputato con l’introduzione nel territorio dello Stato dei prodotti in oggetto, recanti marchio contraffatto, mantiene dunque la propria rilevanza penale, che non viene meno per la cessazione della rilevanza penale della diversa e concorrente condotta di ricezione del bene, già riconducibile alla violazione dell’art. 648 c.p.”.

 

Ancora più interessante è la motivazione della Corte milanese in merito all’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p.

 

Gli ampi margini di discrezionalità che caratterizzano l’istituto, unitamente alla rilevanza delle conseguenze (non si parla di attenuare una pena quanto piuttosto di mandare assolto un imputato pur riconosciuto responsabile di un fatto costituente reato) suggeriscono di dedicare particolare attenzione all’individuazione dei limiti entro cui devono inscriversi i canoni di valutazione a cui deve affidarsi il giudicante.

 

E così la Corte d’Appello, da un lato, ricordando che nel caso di specie era contestata una condotta di “importazione”, afferma che questa è “di per sé integrante un disvalore maggiore della semplice commercializzazione del prodotto importato”.

 

Si evoca qui la riformulazione dell’art. 474 c.p. introdotta dalla Legge 99/2009, che ha separato, sanzionandola più gravemente, la condotta di introduzione nello Stato dalle altre (“chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione”), in precedenza tutte punite allo stesso modo. Una scelta, quella del Legislatore, che ha evidentemente riconosciuto all’importazione un disvalore maggiore, confermato anche dall’estensione dell’ambito di rilevanza penale, prima circoscritto alle ipotesi connotate dal fine commerciale e oggi, invece, esteso anche a quelle caratterizzate dal mero fine di profitto, qual è, tipicamente, l’ipotesi di importazione di un singolo bene destinato all’uso personale. Osserva infatti la Corte: “l’introduzione nel territorio dello Stato di merce con marchio contraffatto determina di per sé, anche quando ha ad oggetto un solo esemplare, un significativo danno all’immagine per il titolare del marchio, considerato lo svilimento della merce originale che si attua con l’esibizione di quella contraffatta”.

 

Il ragionamento appare condivisibile, soprattutto se si pone mente che le fattispecie in materia di contraffazione si caratterizzano per la permanenza degli effetti in quanto l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma è conseguente alla stessa esistenza e circolazione (anche nel mero senso di esposizione) del bene recante marchi falsi.

 

In altre parole, secondo la Corte d’Appello nei reati di cui all’art. 474 co. 1 c.p. non è configurabile, neppure in astratto, un’ipotesi di esiguità del danno, quale elemento costitutivo della tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., in linea con la natura eccezionale (e quindi di stretta interpretazione) di questo istituto perdonistico.

 

Da ultimo, la sentenza tocca anche il tema - di frequente interesse pratico - delle testimonianze rese da soggetti che siano dipendenti della persona offesa, titolare dei marchi. L’imputato, nella propria impugnazione, aveva contestato l’attendibilità del riconoscimento della natura contraffatta di quanto sequestrato, stante la non terzietà del soggetto chiamato a testimoniare. In proposito, la Corte appare decisa nel ritenere che si tratti di un argomento infondato: “la casa produttrice di beni riportanti un marchio prestigioso non ha alcun interesse a che venga affermata la falsità di beni invece originali”.

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